Di-Poiesis presenta: Massimo Daviddi e Giorgio Prestinoni
Vi proponiamo la registrazione dal vivo di un incontro poetico avvenuto il 27 marzo, organizzato dall’associazione culturale Di-Poiesis.
Le poesie di Massimo Daviddi e Giorgio Prestinoni hanno illuminato un’uggiosa domenica di marzo con versi d’emozionante intensità.
A Corteglia, sede di Di-Poiesis, i due poeti si sono alternati in una lettura di testi contenuti nelle loro raccolte poetiche, proponendo anche dei preziosi inediti.
Massimo Daviddi (Firenze, 1954) ha al suo attivo due pubblicazioni poetiche: Zoo persone (Edizioni Ulivo, 2000, con prefazione di Fabio Pusterla) e L’oblio sotto la pianta (Casagrande, 2005, con prefazione di Giovanni Orelli).
L’autore ha proposto due serie di poesie inedite legate al tema del dolore della malattia e della perdita. Dando voce, infine, ad una lirica contenuta in L’oblio sotto la pianta, importante raccolta della quale Giovanni Orelli, nel estratto che segue, presenta uno dei caratteri stilistici e individua la tematica centrale: “Poesie in versi, ma soprattutto poesie in prosa, ovvero brevi, folgoranti “prose ritmate”. I fili che legano questi testi sono quelli eterni dell’amore e della pietas per chi soffre, cui si aggiunge un bisogno quasi ossessivo di interrogare il male, la malattia, di scavare con le unghie nella terra per disseppellirne il senso, le ragioni profonde.” Con Maurizio Cucchi aggiungiamo anche che Daviddi fa prevalere “una prosa poetica di notevole energia, finezza e compattezza, dove emerge una finissima rete di immagini nitide, rappresentazioni varie della desolazione molteplice dell’esistenza.”
Giorgio Prestinoni (Varese, 1957) ci ha regalato parole tratte da Antologia d’acqua (Stampa, 2007, prefazione di Maurizio Cucchi) e da Venne l’angelo boxeur (LietoColle, 2010 con prefazione di Tiziano Rossi). Il reading è stato coronato dalla lettura di un testo inedito.
Maurizio Cucchi annota, nella prefazione ad Antologia d’acqua che il poeta “osserva se stesso e la realtà esterna, le cose e le stagioni, ben consapevole della casualità del nostro esserci, della nostra coraggiosa pochezza di “viaggiatori sudati” o “granelli di calcare”, della nostra dignità di “marinai feriti”, di “gente che non fa rumore”. È come se Prestinoni ci dicesse che l’acutezza e la verità dell’osservazione non richiedono l’eccezionalità di situazioni e vicende, ma che il senso più profondo della nostra presenza, ammesso che ci sia, lo si può cogliere nel poco, nell’“attesa del ramo che si spezza”, nell’incertezza del futuro, nella tenacia dei cuori, nella quotidianità delle passioni.” E sul contenuto di Venne l’angelo boxeur, Tiziano Rossi scrive: “Antenati, parenti più prossimi e altre figure si stagliano in questi versi con asciutta nitidezza, assumendo una statura che è insieme favolosa e fallibile, angelica e debolmente terrestre, perché l’autore sa – da un lato – guardare presenze e accadimenti lontani con sguardo debitamente infantile, cioè pronto a stupirsi, fantasticare, spaventarsi, glorificare, cogliere il prodigioso nel vissuto più normale; e – dall’altro – sa riconsiderare con occhio adulto quelle escursioni vitali dell’io, commuovendosi senza sdilinquimenti […].”
Numeri
La Piera sapeva i numeri, li incardinava ai sogni.
Aveva una gonna rossa e una cabala infallibile,
novant’anni e tacchi rumorosi, parole grandi
da legger sul giornale. A novantuno credette vano
vivere l’età che non si può giocare. Nessun senso
per le notti a venire. Le massaggiavo il cuore
e spezzando coste le dicevo: resta, respira,
dammi ancora un alito del bene che sei.
Non è mai tornata, di notte, per darmi un terno.
(Venne l’angelo boxeur, Quel che resta della Piera)
I versi di entrambi gli autori hanno trovato spazio sull’Almanacco dello Specchio Mondadori.
Registrazione effettuata Domenica 27 marzo 2011, presso la sede dell’associazione Di Poiesis di Cortegia