Good Morning Vietnam (1987) – Barry Levinson
A 5 anni dalla sua scomparsa vogliamo ricordalo cosi….
Good Morning, Vietnam e Robin Williams. Basterebbe solo questo per zittire ogni critica e lasciare che la pellicola si guardi senza porsi altre domande. Bisogna aggiungere per lo stesso motivo che il Capitano, mio Capitano veste e ridà voce ad un dj, Adrian Cronauer, un disc jockey dalla vis comica dell’aviazione, che dovrà condurre una trasmissione radiofonica al mattino per tenere compagnia agli yankee in divisa durante la loro levataccia quotidiana e le missioni tra le paludi vietnamite.
Siamo a Saigon, nel bel mezzo della guerra del Vietnam. Cronauer, viene notato e prelevato direttamente da Creta: ha uno stile buffonesco, acrobatico e popolare. Il dee-jay della parlantina speedy-spigolosa piace a tutti, alle truppe, al generale Taylor, ma non ad una parte dei burocrati e suoi superiori quali il sergente Dickerson e il tenente Hauk che lo riprendono e lo minacciano per le sue battute controverse. Loro perseguono una strada un po’ vecchia scuola per vecchia guardia, credevano fosse più giusto tenere programmi musicali con violini e orchestre melense, tenendo il rock fuori dalle radio, un modo per celare il sangue, le bombe e la morte.
“Il clima nella zona è oggi caldo e merdoso e continuerà a essere caldo e merdeggiante nel pomeriggio. Domani caccosità intermittente alternate a pisciatine di provenienza nordica e farà più caldo che nel culo di una vacca sacra a Calcutta.”
Le sue conduzioni mattutine diventano virali, seguite e attese, comiche a livelli micidiali e il morale dell’esercito è ottimamente preservato. Ma la sua insofferenza cresce con il divampare delle stagioni dei conflitti. Non si può continuare a mantenere ben saldi i nervi dei combattenti se si assiste a bombe che esplodono nel mezzo di Saigon e all’incomunicabilità di tali atti terroristici alle radio poiché censurate in modo ignominioso dagli addetti del Pentagono. Cronauer non potrà esimersi dall’onere di diffondere notizie di quella portata, anche se esplicitamente vietate. La gente deve sapere. Un gesto che scatena un effetto domino che lo porterà all’allontanamento dalle stazioni radiofoniche e ad uno stato psicologico tra il febbrile e il depressivo.
Good morning, Vietnam riesce a far convivere bellezza e decadenza, mortalità ed utopia
Barry Levinson viaggia su due binari ed è alquanto rischioso porsi nella zona d’ombra di una vicenda ingloriosa quale la guerra in Vietnam, anche se narrata nel 1987, inspessendo una storia che possiede già di per sé una trama in cui si può andare a fondo senza potersi guardare attorno, come in un pantano fangoso. Il fatto che la dote innata di Robin Williams riesca a calibrare e allietare ogni piccola mancanza, ogni vizio implacabile che nasce con lo scoccare delle tematiche belliche fa comprendere bene che l’Attore dimostra il suo genio sempre nelle difficoltà, quando si è li per cadere nell’abisso del cliché, nei buonismi, nei salvacondotti situazionistici. Ebbene la cosa che più può far rendere di dubbia credibilità una narrazione dal sapore based on a true story sta, in questo caso, nella storia d’amore lanciata come diluitore d’argomenti, un modo per procedere a sorsate interrotte e rendere la trama meno bellica sul fronte e più tra gli ostacoli del cuore. Ostacoli che sono connaturati nei contrasti culturali: lei, Trinh, è una vietnamita che vive a cavallo dell’occidentalizzazione della sua patria e di una tradizione ereditata.
Tutto il film vive di contrasti, come il susseguirsi di alcune pillole di guerriglia o di preparazione ad essa con la carezza musicale di Louis Armstrong a dettarne la catastrofe o a ricordarci che la bellezza sta anche li, dove sembra che non possa minimamente arrivare nemmeno l’idea della pace, oppure nel tenero tentativo di Adrian di insegnare l’inglese ad un gruppo di vietnamiti di ogni età, tra cui spicca la sua bella occhi da orientale, per accattivarsi le sue attenzioni: ed è li che apprende dal fratello di lei, Tuan, presente alle lezioni, che in Vietnam vigono regole ferree e molto differenti per avvicinarsi ad una donna.
Robin Williams in Good Morning, Vietnam è la dimostrazione di quanto manchi oggi più che mai. Manca, manca tantissimo. Chi possiede il talento di restare in superficie rispettando un mondo bellico e irrisolto forse ancora oggi ne esce come un piccolo eroe, marginalizzato, estroverso, incontenibile, in cui riesce a far convivere bellezza e decadenza, mortalità ed utopia, dando spazio e respiro ad un mondo che non vive di contrasti ma è il contrasto a dare forma al mondo.
Good Morning, Vietnam ci traghetta in un modo composto da persone che vivono la guerra senza sapere chi poter difendere e chi poter definire nemico.
Lo stesso Cronauer non sa riconoscerlo, asserendo: “Incontriamo notevoli difficoltà a trovare chi è il nemico. Chiediamo alla gente se è il nemico e se dice sì gli spariamo. Trovarci il nemico è come andare a caccia con Ray Charles”. L’impossibilità di determinare i colpevoli di tale conflitto o meglio il nemico da combattere è un quesito che ha determinato in toto l’intento fallimentare delle pseudo missioni di pace da parte delle truppe americane, che l’unica colpa che hanno avuto è di aver rispettato un codice. Good Morning, Vietnam è un film che non mostra le brutture della guerra, non accusa nessuno che non sia l’essere umano nelle sue debolezze, lo spettatore non rimane inabissato, dimostrazione di come si possa dar spazio al sorriso senza il rischio di sembrare superficiali.