La cornice del Silenzio
“Mi sa che questa volta John ha esagerato”
Così commentò la mamma di Cage dopo la prima di 4’33” a New York nel 1952.
Il 5 settembre 2012 si è svolto un evento particolare per la cittadina di Chiasso, soprattutto per il nome che si ritrova ad avere: 3 concerti ai ripari fonici di viale Galli per celebrare i 100 anni dalla nascita di John Cage. Un evento organizzato da Mario Pagliarani del Teatro del Tempo e la RSI2 in collaborazione con Radio RaBe, Espace 2, Radio Rai 3 e Gwen.
È stato soprattutto un evento radiofonico in quanto su cinque radio in contemporanea si è trasmesso il famoso silenzio e per cui si è dovuto sensibilizzare l’ascoltatore per non allarmarlo e fargli cambiare canale. La riuscita è stata soprattutto simbolica, da più punti di vista.
In primis, è un affronto al senso e al ruolo della radio. Se la radio esiste per informare, riempire la tua giornata e tenerti compagnia anche di notte, ritrovarti con del silenzio non è certo conforme al suo ruolo. Il 4’33” è un pezzo anti-radio. Come potrebbe esserlo un brano dei Dimmu Borgir o il You suffer But Why dei Napalm Death (della durata di circa 2 secondi) in un contesto come la RSI2 o una delle miliardi di radio commerciali pop. Sorgono le domande: che dovere ha la radio? Un pezzo non è radiofonico perché l’ascoltatore rischia di cambiare canale? O è la radio che deve decidere, come un vecchio saggio, che cosa la popolazione dovrebbe conoscere? Cosa vince, contenuto o consumatore?
Se portiamo il silenzio di Cage in radio, non è solo per celebrare la sua nascita. È soprattutto per rammentare e divulgare un messaggio estetico molto importante: la tendenza dell’uomo si volge al riempimento, inteso come ricerca di senso. Il nostro operato culturale, scientifico e metafisico è incentrato attorno alla ricerca di significato. La lingua stessa, così meravigliosamente differenziata tra i popoli della terra, ci permettere di dare realtà alle cose e al mondo. Senza il linguaggio, per l’uomo, non esisterebbero le cose. Non potremmo comprenderle, usarle, dirle. Se prendiamo il dizionario possiamo vedere con quanti significati abbiamo riempito il mondo, sia definendo che inventando. Per paura del nulla, dell’Ade, ci siamo spinti a nominare e definire tutto arrivando ad uno splendido insieme di parole, tranquillizzando la mente e l’anima. Abbiamo inventato Dio, la Scienza, l’Arte, la Musica, il Teatro. Ognuno di questi ha poi spinto a riempire ulteriori vuoti e incomprensioni.
Certo, si può non essere d’accordo, c’è chi si offende.
Quando invece qualcosa non quadra, non segue la regola o il ritmo, si manifesta del fastidio, dell’imbarazzo. La nostra profonda abitudine alla routine e ai simboli è così forte che di fronte all’apparente ignoto perdiamo l’appiglio e diventiamo soli, piccoli e indifesi, ci assale la paura, dobbiamo fare qualcosa. Ne Il Nome della Rosa, Adso si spaventa terribilmente quando sale nella biblioteca segreta e inizia a vedere demoni uscire dalle ombre della sua candela. Edipo continua a non voler capire in che brutta situazione si è cacciato pur avendo sentito le parole dell’oracolo. Nella Gaia Scienza di Nietzsche, quando arriva l’uomo che annuncia la morte di Dio, comprende che non possiamo ancora capire e scappa. Nelle prime due serie di Lost c’è sempre uno scemo che schiaccia il bottone prima che termina il countdown, meglio schiacciare che rischiare l’ignoto.
Cage ci fa assaporare con il suo 4’33” un minuscolo momento di questo senso di angoscia. Una angoscia che ti ridimensiona ad essere quello che sei, un uomo nel mezzo di una infinità di suoni, oggetti, luci, sensazioni. In questo insignificante lasso di tempo hai l’emozionante possibilità di far cadere ogni tua convinzione e lasciarti andare all’iniziale pericolo di dover a tutti costi fare qualcosa. Perché Cage ti invita a un rituale. Insieme ad altri, gli spettatori, entri in una dimensione unica e uniforme composta da una moltitudine di differenze partecipando ad una esperienza collettiva totalmente umana.
Hai giusto il tempo di abituarti all’assenza di significati e sentire i primi rumori nascosti che compongono la tua realtà. Perché 4 minuti e 33 secondi passano molto in fretta. Succede che quando è finito, ti manca, ne vorresti ancora un po’.
L’ultima performance del 4’33” (dopo Antonio Ballista con pianoforte alle 16.33 e Luca Pianca con liuto alle 22.33) si è svolta alle 04.33 del mattino, 100 anni e 24’ore dopo la nascita di Cage. Per l’occasione, nel pieno della notte, potevano solo essere gli artisti della Pulver Und Asche Records a cogliere l’onore. Il musicista ticinese Zeno Gabaglio e il trio Black Fluo hanno creato una versione suggestiva del silenzio cageano inserendolo all’interno di una cornice sonora piacevole ma alarmante. Così droni, suoni ambientali, silenzio e mistero si sono uniti in un momento pieno che avrebbe potuto, senza l’intervento di applausi, continuare fino a mattino inoltrato.
[audio:interviste/radiochage_interview.mp3|titles=Radio Chage – 4’33” pensieri mattutini|artists=Radio Gwendalyn]