My Dear Killer – Intervista
A cura di Vasco Viviani
My Dear Killer è un filmazzo giallo dei ’70, come si conviene, ed under my bed di solito ci sono i mostri infantili, che qualche volta però resistono alla crescita. Se ci mettiamo un esordio intitolato timidezza clinica il ritratto del killer psicopatico ci sono tutti, considerando che se esplode la santa barbara di norma sono cazzi! Io ho avuto il piacere di incontrarti un paio di volte e mi sei sempre sembrato piuttosto affabile…i tuoi vicini di casa devono preoccuparsi o è tutto sotto controllo?
Avrebbero buone ragioni di preoccuparsi, ma tutto sommato la situazione è sotto controllo. Diciamo che sono sotto scacco a loro insaputa, forse anche a mia.
Dalle notizie in mio possesso stai per uscire fra poco con il tuo nuovo album per Boring Machines dopo sette anni: cos’è cambiato in questo periodo come musicista e discografico? Cosa dobbiamo aspettarmi da te? Saranno mica cinque pezzi facili e via, no? Ho letto in un intervista che volevi affidare tutto il tuo materiale al Codazzi…era una boutade o c’è del vero in tutto questo?
E’ passato molto tempo dall’uscita di Clinical Shyness, per le ragioni più svariate che possono rientrare nell’ampia definizione de “i casi della vita”. In questo periodo possiamo dire che il fuoco ha covato sotto la brace e non s’é mai spento del tutto. Così ho accumulato una discreta quantità di materiale, di cui una parte è quella apparsa nel Cynical Quietness nei Cinque Pezzi Facili, che come traspare dal nomignolo è un progetto a se stante e privo delle caratteristiche “rumoriste” del primo disco. La nuova uscita (prevista per Gennaio ), che s’intitolerà the Electric Dragon of Venus, è un lavoro più complesso e più articolato, sia dell’EP sia del primo disco, nel senso che cerca di dosare in modo più bilanciato i diversi elementi di arrangiamento, prestando comunque attenzione a mantenere un’omogeneità’ di stile attraverso tutto il disco. Questo è anche stato possibile perché The electric dragon è stato realizzato in modo più collaborativo rispetto a Clinical Shyness, che avevo registrato in pratica da solo nella sua interezza. E’ un lavoro più collegiale, in un certo qual modo, anche se la struttura degli arrangiamenti, in pressoché tutti i brani, è stata messa a punto con ONQ (Luca Galuppini), a su questa struttura si sono aggiunti di contributi di altri musicisti, sia utilizzando strumenti acustici (Piergiorgio Storti al Cello, Stella Riva al Trombone) che elettronici (Matteo Uggeri per Field Recordings e Gherardo della Croce Noise ambientale). Il dragone, come l’ho ribattezzato, non è un monolite di rumore, comunque non ne è privo, ma un monolite di altra sostanza, che non saprei ben definire al momento. Spero non noia per l’ascoltatore.
Infine, il clou della domanda, se Sandro Codazzi volesse farne un remix, glielo affido bendato.
Per quanto riguarda l’attività’ dell’etichetta Under My Bed, questa è la cosa che è più cambiata negli anni. Dal 2005 al 2010 c’e’ stato sostanzialmente uno iato, poche produzioni, quasi un rantolo di vita. Dal 2011 ho preso la decisione (parola forse una po’ forte), diciamo che mi sono posto l’obiettivo di ritornare in attivita’ su una base più continua, e in maniera più organica. Questo è accaduto quasi in occasione del decennale dalla fondazione, per cui, dato che la prima uscita di UMB era stata una compilation, ho pensato che la maniera migliore per inaugurare “un nuovo inizio” fosse proprio attraverso una compilation, e che questa comprendesse i gruppi che storicamente più avevano interagito con l’etichetta: è una delle poche cose sensate che abbia mai fatto, di “Ten Years of Secret Mixtapes” vado fierissimo. Il secondo progetto dalla riattivazione/rianimazione della Under My Bed è stato il completamento della serie di split “Cinque Pezzi Facili”. Rispetto agli inizi, abbiamo deciso di preferire ancora di più progetti di tipo collettivo (Compilation, Split, progetti a tema) piuttosto che dischi di singoli gruppi poiché l’esposizione che può garantire UMB nei tempi presenti è del tutto sovrastata dalle svariate opzioni presenti sulla rete e gestibili direttamente dai gruppi stessi. D’altra parte, abbiamo ripreso anche collaborazioni con altre etichette per delle coproduzioni, come il disco di Bob Corn e Matteo Uggeri; quello de Lo Sceriffo Lobo o quello dei Colours Seen From Behind, che uscirà a breve. E c’e’ altro che bolle nel calderone, ma sinché le cose non prendono un aspetto più organico, riserbo il silenzio, onde evitare proclami fantasma. Rispetto a cinque anni di quasi silenzio, un’enormità’.
Da cosa ti sei fatto ispirare nel concepire e registrare questo album? Hai avuto qualche faró da seguire oppure è stato un procedimento più di sfogo ed espressione personale? Cosa, in musica, fa presa su di te?
La scrittura dei brani è in realtà un processo abbastanza spontaneo, nel senso che ci sono dei momenti in cui riesco a mettere insieme degli abbozzi dei brani, che poi vado via via limando (altrimenti, generalmente, li abbandono), quindi in un certo qual modo sono influenzati, in maniera più incosciente che altro, da qual che la vita mi riserva in quel momento. Potrei pensare a un singolo evento che ha certamente più influenzato il mio umore e che quindi questo si sia trasferito in quel che ho scritto nell’ultimo anno e mezzo, ma trattandosi di fatti privati, preferisco mantenerli tali. Allo stesso tempo, non c’e’ mai stato un disegno specifico o tematico sul quale è stata costruita la struttura di The electric Dragon of Venus; cerco solo di selezionare gruppi di canzoni/brani che hanno a mio parere un’organicità a livello più che altro di sonorità. D’altra parte, in qualche maniera velatamente nascosta nel titolo, che sono subdolamente sci-fi, c’e’ un disegno psuedo-cabalisto nella struttura degli arrangiamenti e nella scelta di alcuni dei campioni e dei field recordings. Da qualche anno ho sviluppato un interesse per le esplorazioni planetarie, particolarmente del pianeta Venere, che più che misterioso è sorprendente e prodigo di scherzi del destino per chi ha cercato di mandarci degli arnesi: un parallelo tra vite disastrate.
Sette anni sono un bel periodo…tra un album e l’altro ci sono stati un paio di split…pensi che il pubblico sia in grado di riallacciare il discorso con quanto in atto allora o temi di dover ricominciare a conquistare tutti da capo? Esiste uno zoccolo duro di My dear killer fans?
Sette anni sono un periodo molto lungo, sono d’accordo. Come prima accennavo, si sono verificate situazioni personali, tra cui forse la più macroscopica è che sia stato pressoché costretto a vivere in quattro stati differenti in questo intervallo, che si sono messi di traverso alla registrazione compiuta di un disco, specialmente quando la registrazione è un’operazione casalinga, come nel mio caso. D’altra parte non credo sia mai esistito quello che possa essere chiamato uno “zoccolo” duro di fan di My Dear Killer, però penso ci sia un numero, non grande, di persone che ha nutrito e tuttora nutre un certo interesse in questo mio progetto e non credo che il silenzio apparente, per quanto lungo, abbia interrotto il “legame” con loro. Forse, più che ricostruire, sarebbe necessario costruire un interesse, quindi la strada è molto in salita. Ad ogni modo, credo che per chiunque non faccia musica chiaramente stereotipizzabile, ci siano sentieri piuttosto impervi da percorrere per riuscire a comunicare con il suo pubblico potenziale. Mi auguro che The Electric Dragon tocchi le giuste corde, e spero che un’attività’ live più intensa di quella che ho avuto modo di far sin ora possa cominciare a tessere i fili della ragnatela.
Come mai Boring Machines come etichetta? Negli ultimi anni sembra essere il marchio che spopola in un certo ambiente…sei tu che hai lavorato Onga ai fianchi o è stato lui a sollecitarti per tornare alla carica?
Clinical Shyness era già uscito per BM (#1), o meglio dovrei dire, non sarebbe mai uscito se non fosse stato per Boring Machines. Il fatto di avere indirettamente contribuito alla nascita di Boring Machines è una cosa che mi dona un piacere indescrivibile, perché, per merito esclusivo di Onga, un’etichetta partita allo scopo di supportare un piccolo progetto di folk noise come può essere My Dear Killer, è cresciuta sino a diventare, come dici, un riferimento in ambito nazionale, e ad avere una reputazione più che solida in ambito continentale e non solo. In questi anni, Onga ha più volte spinto, cosa di cui gli sono riconoscente, perché registrassi un nuovo disco; e non appena l’ho avuto in una forma più o meno compiuta (quando forse entrambi pensavamo che ciò non sarebbe mai più successo), glie l’ho proposto anche, posso confessare, con un certo timore. Timore che s’e’ poi verificato in buona parte infondato, così il sodalizio tra assassini quiescenti e macchine da traforo continua. E, da parte mia vale l’auto-comandamento “Non avrò altra etichetta all’infuori di Boring Machines” (almeno finché Onga non decida di silurarmi con una sonora pedata nel poco augusto derrier).
Ho visto che con la tua etichetta, under My bed, sei molto attivo ultimamente: il progetto degli split 5 pezzi facili, il disco di Matteo Uggeri e Bob Corn, lo sceriffo lobo…questo dopo un periodo un pochino letargico…cos’è che ha ridato pompa e lustro alla cosa? Puoi presentarci questo progetto degli split che sembra essere molto interessante?
Come dici, l’attività’ di Under My Bed s’e’ decisamente ravvivata da un paio d’anni a questa parte. Cinque Pezzi Facili sono uno dei progetti cui tengo di più e che sono molto soddisfatto di avere portato a compimento a Dicembre 2012, avendo iniziato questa raccolta (con Marco Guizzi), mi pare nel 2003, ed essendo rimasta in sospeso, fermi al volume 2, così come quasi tutta l’attività’ UMB per anni. Nell’anno appena trascorso abbiamo completato il Volume 3 (My Dear Killer + Tettu Mortu), il Volume 4 (Morose + Campofame), che mi sento di dire, pur essendo di parte, essere meraviglioso, e il Volume 5 (Empty Vessel Music + Konstanzegraff), l’unico con artisti stranieri (USA e UK). Inoltre, per consistenza, abbiamo anche ristampato sia il Volume 1 (Lorca + Pillow) che il 2 (Mr60 + The Frozen Fracture), con delle grafiche aggiornate grazie all’aiuto degli amici di Frohike. Cinque Pezzi Facili sono un progetto “organico” che prevede la collaborazione a ognuno dei volumi di gruppi/singoli che basano la loro proposta sulla forma-canzone con uno “sparring partner” di musica “strumentale”. Ogni gruppo, richiamando il titolo che è ovviamente mutuato dal film omonimo, ha in carico cinque tracce, quindi dieci per split, e cinque split in totale, giusto per mantenere un’allitterazione post-pitagorica. Di conseguenza ci sono combinazioni variegate, ma che conservano una sorta di unità, che è in parte più evidente nelle sezioni di forma canzone (quasi tutte classificabili come “something-folk”) mentre le sezioni strumentali esplorano un ambito più vario (da noise elettro-acusctico, all’elettronica minimale, al post-rock) attraverso i cinque doppi EP e dieci gruppi che hanno partecipato al progetto.
Un’ultima nota, la copertina di ogni split è pensata come una tessera di un mosaico che ricompone la faccia di Jack Nicholson, solo se le si possiede tutte… ogni tessera di per sé è sufficientemente esoterica da apparire priva di senso, e lo è… c’e’ chi mi dice che anche la ricomposizione è priva di senso, ma, per citare la settimana enigmistica, aguzza l’ingegno.
Ho avuto il piacere di vederti live e, da solo, catalizzi l’attenzione a livelli splendidi. È la tua condizione ideale o hai sogni eclatanti e grandiosi nel cassetto? Non so, un’orchestra e Beth Gibbons come seconda voce?
Il progetto segreto è quello di fare un tour con il coro dell’Armata Rossa.”.. ma anche Beth Gibson, tutto sommato, potrebbe passare. Stupidate a parte, penso che My Dear Killer abbia fondamentalmente una dimensione intimista che ben si adatta a formazioni, anche dal vivo, composte di pochi elementi, due o tre. Essere una one-man-band, ha qualche vantaggio in termini di logistica e anche di sviluppo del set stesso, non imponendo margini a eventuali mezze improvvisazioni o cambi di programma/registro in dipendenza anche della risposta del pubblico (se presente). Allo stesso momento, da quando mi sono ristabilito in Italia, ho cercato di trovare un “partner” con cui suonare dal vivo, anche per ampliare le possibilità di arrangiamento; per varie ragioni, più che altro questioni di tempo da combinare con il lavoro che ci consente, ahi noi, di portare a casa la pagnotta, questi esperimenti non sono andati a buon fine o sono, per il momento, ibernati. Per esempio recentemente ho suonato con Stella (Satan is my Brother/The Please) che mi ha accompagnato al trombone, in pratica improvvisando e ci siamo molto divertiti, noi, e penso anche chi abbia assistito all’esibizione. Inoltre stiamo pensando con Matteo Uggeri (Sparkle in Grey/Pagetos/svariati altre cose), che mi ha anche dato una grossa mano nel mixaggio definitivo di The Electric Dragon of Venus, di fare dei concerti “congiunti”, in cui lui possa utilizzare delle basi di rumori concreti e campionamenti come supporto al materiale di My Dear Killer ed io fare delle mezze improvvisazioni acustiche su parte del suo materiale… parallelamente sto anche vedendo di completare un “progettino”, cui in realtà miro da anni (e no, l’armata rossa qui non c’entra), che mi dia modo di realizzare un accompagnamento rumoristico, a partire da fonti quasi esclusivamente analogiche, così da ottenere un risultato dal vivo più vicino alle sonorità dei dischi. Quest’ultima cosa dipende solo da me, sollecito un sonoro calcio del sedere da parte di terzi così che mi decida a riprendere in mano il saldatore e il trapano a colonna. E’ sempre un bel vedere.
Volevo farti una domanda sulla tua esperienza all’estero e sulle scene musicali italiane ed estere che hai frequentato, ma penso te l’abbiano già fatta in molti…ti chiedo invece, ripartiresti domani? Per dove è perché?
Se avessi occasione di andare di nuovo all’estero e starci su base permanete, sceglierei quasi certamente la Gran Bretagna; probabilmente il nord dell’Inghilterra. Lo dico perche’ pur non avendoci mai abitato (sono stato qualche anno in Scozia e molti anni a Londra), mi sono sempre trovato molto bene in UK, specialmente nei pub ma non solo. Il nord Inghilterra, dall’impressione che mi sono fatto, mi pare possedere il giusto bilanciamento tra il caos e l’iperattività di una città come Londra, e la calma piattissima della campagna, che per altro io trovo anche molto apprezzabile dal punto di vista estetico. Ho anche “legato” con diverse persone che ho conosciuto provenienti da quell’area, in cui ho sempre intravisto una certa vena, dopo qualche birra malcelata, di follia: a ben pensarci non potrei chiedere di meglio.
Tempo fa mi dicesti che stavo lavorando ad un festival, quasi un Tagofest del nord…l’idea è ancora viva? Come siete messi? Serve una mano?
Mhmhmhm…. l’idea cova sotto una spessa coltre di problemi organizzativi. L’idea di fare un festival “stile Tago” dalle parti del lago (di Corgeno, chi lo chiama altrimenti peste lo colga) era nata più che altro dalle voci di corridoio sul fatto che il Tagofest fosse defunto; cosa che s’e’ verificata poi non essere vera. Il festival avrebbe potuto essere quindi un’alternativa che rimpiazzasse un vuoto; perché pur essendoci diversi festival di più che buona fattura in Italia (No Fest, le Valli, Itri, etc), nessuno di questi ha la caratteristica di essere un festival per ”etichette”, cosa che ho sempre molto apprezzato concettualmente. L’anno passato avevo organizzato (con il supporto del Comune) una rassegna, al chiuso, Musica da Cameretta, e c’e’ stata per un po’ la possibilità di fare una chiusura all’aperto che avrebbe potuto coincidere con una sostituzione TagoFest (che era dato moribondo). Quest’anno la rassegna al chiuso non ci sarà… chissà che non si riesca a fare anche solo un week end all’aperto dato che le incertezze sulla sopravvivenza del TagoFest persistono… a tutt’oggi, non ho capito se il Tago sia ancora in attività o meno. D’altra parte è uno sforzo organizzativo immane, specialmente per una sola persona, avendo anche la “vita normale” oltre che Under My Bed e My Dear Killer da coltivare. Ad ogni modo, se ci fosse interesse, lancio un proclama: etichettari squattrinati, di tutti popoli, uniamoci! (?)
Cosa ne pensi del sistema festival in auge? Trovi sia un sistema interessante per creare contatti ed apparire, funzionale alla scena? Trovi che negli ultimi anni le facce siano sempre le medesime o le giovani leve si stanno facendo valere?
Come ho detto prima, penso che ci siano, in questo momento dei festival di ottima fattura, alcuni hanno una “tradizione”, nel senso che sono in vita oramai da quasi un decennio (per esempio Tagofest, No Fest), altri sono più “giovani” (per esempio Muviments, Paesaggi Sonori) ma hanno programmi altrettanto interesssanti. Sui così detti grandi eventi, stendo un velo pietoso. Ciò nonostante, a costo di sembrare “il solito scassamaroni”, penso che in generale il sistema dei festival conservi i medesimi difetti di quello dei singoli concerti, se così si può chiamarli: sono sistemi decisamente chiusi, in cui è estremamente difficile fare breccia. Questo porta, pressoché inevitabilmente, ad avere molto spesso “le solite facce” (alcune più che strameritevoli, altre decisamente no a mio avviso, ma non mi pare il caso di fare classifiche) e aggiungerei anche “le solite facce mancanti”; ovvero gruppi/progetti altrettanto meritevoli che non sono riuscite a trovare la chiave magica per intrufolarsi nelle sale dei balocchi e questo può, e credo in molti casi sia, per una questione caratteriale. Spesso poi contribuisce anche una certa attitudine a seguire tendenze modaiole, spiace dirlo, o a discriminati tout court verso certi generi musicali, specialmente a favore della dotazione di pedalone. Questo lo vedo come un forte segno di chiusura mentale, che è l’esatto opposto di quel che dovrebbe succedere da parte di chiunque si occupi di ambiti che possono essere, anche in senso a volte molto lato, essere definiti come culturali. Credo che in parte il problema sia sempre esistito, ovunque, e non è completamente risolvibile; d’altra parte sono sufficientemente convinto che se i locali/festival apprezzassero di più anche proposte cui sono probabilmente meno familiari, questo porterebbe giovamento, non soltanto a queste proposte che sarebbero meno discriminate, ma anche agli stessi locali che si aprirebbero verso un pubblico potenzialmente più ampio e forse eviterebbero di alienarne una parte, che nella mia esperienza non è così trascurabile, del loro pubblico potenziale che è sufficientemente frustrata dall’andamento delle cose, specialmente se in attività da parecchio tempo. Alla fine sono abbastanza convinto che gruppi, locali, spettatori, webzine, siamo tutti parte di una comunità, che non è molto ampia. Una crescita di questa comunità è possibile solo in presenza di una certa simbiosi tra i vari aspetti che la compongono; l’alternativa è una stagnazione, se non peggio, settorializzazione, che non credo porti beneficio ad alcuno.
Per concludere…qual’è il tuo rapporto con le radio? Le ascolti, le odi ed in macchina ascolti soltanto oscuri gruppi scozzesi, o ancora le accendi ogni tanto sperando che passino il tuo pezzo? Come gestisci la tua promozione? Sono uno strumento coinvolto o preferisci rivolgerti a media come giornali e siti web? Questo come musicista e come discografico, nel caso le tecniche di abbordaggio siano differenti…
Ah la Radio: ne sono affascinato, ma la ascolto abbastanza poco, anche per questioni di tempo. Ultimamente, ascolto praticamente solo (RAI) Radio 3, che ogni tanto riesce a stupirmi e a farmi conoscere delle cose di cui non avevo mai sentito prima, o magari passa un pezzo di un gruppo di cui avevo perso la speranza potesse passare mai per radio, ad un orario compatibile con la vita dell’uomo qualunque. Urra’ per RaiRadio3. Quando mi capita di ascoltare altro, più che altro ascolti semi-involontari, a meno che non sia qualche classico, devo ricorrere al Buscopan. Se capisco, ma non condivido, la ragione di questo per le radio commerciali, trovo difficile comprendere perché alcune delle emittenti “minori” non cerchino di esplorare settori non coperti dei “grandi e grossi”; forse qualcuno lo fa, ed io non ne sono a conoscenza… e infine, confesso, incrocio le dita ogni volte che mi sintonizzo su Battiti sperando che mandino un pezzo del My Dear Killer o della Under My Bed che diligentemente mando in busta con letterina, quasi quella a babbo natale, ma ancora non ho avuto soddisfazione: non disperiamo, e poi hanno una programmazione che quasi sempre compensa la piccola delusione di non sentire un mio pezzo orrendo in diffusione nazionale.
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