No Format e Mamani Keïta
La crisi! gridò l’imprenditore di import export. La crisi! Non vi posso aiutare.
E se ne andò con un Chayenne.
Oltre alla crisi odierna che scatenano gli avidi e incapaci banchieri, un decennio fa sappiamo che anche il cambiamento tecnologico ha inflitto una dura prova al mercato del disco. Vi ricordate l’album in download dei Radiohead che si poteva pagare quanto si voleva?
Siamo tutti molto confusi su quello che vogliamo. C’è chi pregia il grande potenziale di distribuzione della musica in formato digitale e la sua facilità di promozione e vendita. Allo stesso tempo l’altra fetta di amanti della musica desiderano avere in mano un oggetto bello e prezioso instaurando una romantica relazione d’amore (vedi il progetto Dust and Grooves).
Il cambiamento di distribuzione della musica però non ha badato a moralismi e molte etichette indipendenti sono sparite come anche parecchi negozi di dischi. Magari se avessero avuto più teste markettare al posto di quelle artistiche tra le nuvole, avrebbero trovato anche un’alternativa. Perché un’alternativa c’è sempre. E’ che non è sempre piacevole.
Lo spirito della qualità di nicchia è duro da sconfiggere. E aggiungerei “meno male”. Intanto che radio e Tv vomitano schifezze, ci sono sempre piccole porte colorate che nascondono tesori segreti. Queste sono le piccole labels che tornano ad intrufolarsi trovando il loro posto al sole: quasi come se durante una tempesta terribile, come il Tenente Dan in Forrest Gump, gridano che loro possono sfidare dio e che dio non vale proprio nulla e alla fine la tempesta si placa e ora si sa dove e come stare in piedi.
Prendiamo, per questo articolo, l’esempio della label francese No Format (nata nel 2004) che per vivere nella nostra folle contemporaneità ha preso di petto il mutamento estetico del miscuglio dei popoli, delle idee e le forme dell’epoca globalizzata e si è immersa all’interno dei suoi flussi.
Ogni disco prodotto è un punto di vista sulla nostra realtà impregnata di apertura, avventura e totale indipendenza.
Tre aggettivi che sono essenziali se si vuole tenere la testa a galla e rivolta alla tempesta.
Tra gli artisti della label ascoltiamo la fantastica Mamani Keïta, nata a Bamako in Mali. Gagner l’argent français, il tredicesimo album, ha un titolo da una parte ovvio se messo nel contesto della ancora fortissima influenza francese sulle sue ex colonie. Dall’altra parte è molto diretta e rischiosa. Se si pensa che artisti africani riescono a raggiungere il grande pubblico spesso solo con soldi degli istituti culturali francesi (o svizzeri, tedeschi, americani,…), uscire con un titolo del genere è molto coraggioso.
Guadagnare soldi francesi per un immigrato africano è difficile e per cui bisogna lavorare parecchio (bosser, bosser! grida la cantante). Sotto la neve, nel vento. Che fa intuire facilmente una difficoltà più profonda, di natura sociale ed economica. E cosa si costruisce? A cosa si lavora? Non certo alla cultura o ad uno sforzo per integrare le musiche, le arti e le vere espressioni umane che in una società in crisi farebbero solo del bene.
Nel video la faccia di Mamani pian piano viene disintegrata da enormi costruzioni. Lei continua a cantare con serenità, quasi senza accorgersi dello sfruttamento e della decadenza. Poi, verso la fine una tirata bellissima di parole a noi incomprensibili ma sequenze di note adorabili, da riascoltare.
E’ un disco pieno di rischi, passionale e ribelle. Ma una ribellione da parte di qualcuno a cui non potresti fare del male, non potresti reprimere. Perchè te ne innamori. La sua voce graziosissima viene accompagnata da innumerevoli strumenti tradizionali mandingues, -ngoni, kora, monocorde che si mischiano poi con clarinetti klezmer, liuti cinesi, corde classiche.
E’ un fiero coraggio quello di Mamani e della No Format. Un coraggio che speriamo si aggiunga a suo modo a chi vuole vedere e sentire qualcosa di vero ma che soprattutto sappia raccontare il presente.
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