RADA – The nothingness wandering out of the self

note e postille critiche di Marko Miladinovic.

La rada
spazio d’arte contemporanea, Locarno
http://www.larada.ch/laradach/info/index.php

Nata dalla partecipazione della regista Denise Fernandes e lo stilista Rafael Kouto, curata da Carolina Sanchez, l’installazione video si presenta in uno spazio chiuso da pareti nere che trasformano l’ambiente in una specie di imbuto. Il pavimento, ricoperto da una pellicola trasparente, riflette la luce dei tre schermi di fronte a noi: uno centrale e altri due adiacenti, posti su una linea più avanti (di cui uno è messo in verticale e l’altro in orizzontale).
La proiezione è divisa in 12 sezioni video, della durata totale di poco più di 13 minuti. Le musiche d’ambiente sono state create da Giordano Tatum Rush.

I soggetti si presentano in ambienti asettici, caratterizzati da una cura (est)etica che ne muta i tratti fin quasi all’androginia. Non c’è dettaglio che sia sfuggito alla mano dei due artisti. Il trucco, gli abiti, i capelli, le pose, gli oggetti con cui si relazionano, l’ambiente circostante (il medesimo da cui vediamo loro) ciascuna cosa è curata fino al suo eccesso, fino a questa distanza che si realizza affermando loro e noi.
La musica è lieve, concreta, precisa, aliena. Unita perfettamente alla maniacalità estetica, dà una dimensione altra ai soggetti: pensile, onirica, una messa in comunicazione da questo a forse un mondo sovrasensibile, in cui soltanto può esistere la perfezione.

mostra 2

Flusso didascalico riguardante le azioni sui tre schermi – se ne deduce infine tacitamente la differenza tra vista e campo visivo
Ora una donna in piedi, vestita di bianco, tiene in mano una clessidra. Dai due schermi attigui, come un fascio di luce, vediamo lo scorrere del sale e lo sentiamo come fosse un vulcano in eruzione.
Ora delle rocce ai piedi di un canneto, un uomo con una lunga veste, si avvicina, ci gira intorno
“(…) senza un movimento la vita sarebbe un letargo (…)” prende nella mano un sasso, lo porta al volto. Ora un volto di cera perfetto, androgino, siede tra cubi bianchi, lo stesso che muove nella mano: un cubo di Rubik totalmente bianco viene disfatto. Tutto è curato fino alla follia. Perfetta la fotografia. Da uno spazio clinico spuntano delle canne, la donna siede in varie posizioni dietro queste. Ora dei sassi pendono dal il soffitto (esisterà?) da un nastro nero. Una donna da ideale sadomaso ci osserva inerte, un nero berretto elisabettiano. Ora un essere androgino ha in bocca dei fiori arancioni, il volto bianco, il testo: “Nulla mantiene una forma costante e fissa (…)” vestita di pece mangia quei fiori “questo istante dovrebbe durare per sempre”. Ora una geisha occidentale, dei cardi le spuntano dalla bella schiena protetta da un velo trasparente, la tocca, i suoi capelli sulle spalle “(…) nell’identificarmi con la natura intera”. Ora un’ombra si avvicina, il suo primo piano sullo schermo di sinistra, v’è un percorso battuto, una traccia almeno, che è di nuovo da seguire. Una figura, un angelo, una donna angelicata, chissà, trascina un’altra/altro, entrambe in abiti bianchi, curatissimi. Ci fissa colei che è trascinata. L’alterità. Ora una donna seduta, tre dettagli della stessa, una camicia colore salmone, una soprabito sulla spalla. Lo sguardo immobile, fuori le lunghe gambe, in mano un bouquet, le spiamo il volto tramite la pellicola del bouquet. Ora una donna vestita di bianco, troppo bianca per restare, un gioiello posato sul labbro inferiore, i capelli biondi tirati indietro, una luce le scansiona il volto, tra le mani un cubo di latte ghiacciato, si sta sciogliendo… una macchia per terra, è lei a sciogliersi? Ora tre soggetti, vestiti di nero, androgini, bianchi. Sono fermi i loro gesti, immobili gli sguardi, sempre altrove da chi guarda loro. Titoli di coda.

mostra 3

Postilla

Moda: Via, per l’amore che tu porti ai sette vizi capitali, fermati tanto o quanto, e guardami.

Morte: Ti guardo.
Moda: Non mi conosci?

Morte: Dovresti sapere che ho mala vista, e che non posso usare occhiali, perché gl’Inglesi non ne fanno che mi valgano, e quando ne facessero, io non avrei dove me gl’incavalcassi.

Moda: Io sono la Moda, tua sorella. (…)

Dialogo della Moda e della Morte, Giacomo Leopardi.

Mi chiedo cosa sia questo titolo, il nulla fuor di sé.
Di una cosa ritengo capace il nulla: esser diventato ciò che non smette di diventare e compiersi: il niente – che si è fatto uomo, mentre quest’ultimo non ne può sapere di nessun nulla, se non quello sadiano dell’orgasmo, o lo stesso de la petite mort. Che poi vai a capire l’ipocondriaco, ch’è l’unico che qualcosa ha còlto di tutta la vita: nessuno è mai morto per morte, dunque il problema è proprio il suo: avere degli organi. A questo proposito buona è la proposta di Artaud: fare del proprio corpo, un corpo senza organi (così appunto sembra quello dei soggetti rappresentati, immuni alla malattia e alla guarigione).

V’è in questi frammenti di spazio e di tempo uno sposalizio tra la moda e il cinema, la natura e la vanità… nozze senza coppia.

Una vanità è qui onnipresente, inauguratrice di ciò che è vano, vale a dire nullo: la vita senza di noi. Che vale? Come tutta la storia, “Non che non ci creda, è che io non c’ero” dirà Carmelo Bene nelle veci di quel Lorezino de’ Medici ingiuriato dai posteri. Ebbene, qui siamo usciti dai codici delIa storia, di fronte a queste figure inumane, lontane da noi, come se esistessero soltanto in quel mondo che non è il nostro, ma al quale abbiamo appena avuto accesso e che vediamo risplendere, riflesso confuso, sul pavimento. Una cosa condividiamo, la natura che ovunque cresce disperata e dove non cresce viene riposta. A tal proposito cito il buon testo critico scritto a sei mani da Kouto-Lisi-Sanchez che accompagna la mostra: “La capacità di errare, fantasticare, passeggiare e di dimenticare se stessi verte analogamente sul rapporto meditativo tra il proprio io e la natura nell’era digitare. Il confine tra se stessi ed essa non è mai stato più incerto che in questo futuro sconosciuto”.

Oltre i suddetti hanno preso parte a questo lavoro gli attori Daniela Baiardi, Giada Crivelli, Bianca Franzoni, Laurids Köhne, Céline Lancini e Alex Stepanova.
Giulia Rossini, Luca Xavier Tanner e WuetrichFuerst (fashion designers), Martina Cavadini (jewels designer), Sophie Hepp (consulente creativa e stylist), Valentina Provini (direttrice della fotografia), Massimiliano Rossetto (assistente alla fotografia), Lara Di Ferdinando (grafica), Giordano Tatum Rush (musica ed editing), Barbara Tosti (assistente alla produzione), Carlotta Storelli (assistente alla produzione e coreografa) e Agnese Zgraggen (food design). Il progetto espositivo è curato da Carolina Sanchez.
Le fotografie presenti in questo articolo sono di Barbara Tosti.