Woods, Bend Beyond (2012)
Woods, Bend Beyond (2012)
I Woods, e forse è un bene, sono uno dei segreti meglio custoditi della Grande Mela. Provenienti da Brooklyn e attivi da circa un decennio nell’underground a stelle e strisce, la band, capitanata dal barbuto Jeremy Earl e dal fedele sodale Jarvis Taveniere, ha pubblicato, ad oggi, sei dischi, oltre ad un’abbondante manciata di singoli sparsi, soprattutto sull’amato vinile. Titolari di quello scrigno di tesori che risponde al nome di Woodsist, etichetta che, tra gli altri, ha pubblicato Moon Duo, White Fence e Ducktails, oltre alla quasi intera discografia della band madre, i Woods si muovono nelle colorate e distorte paludi di un pop acidulo pressoché perfetto, fortemente debitore degli sfavillanti anni sessanta. Con At Echo Lake (2010), un gioiello, e il seguente Sun & Shade (2011), meraviglioso, con quelle sue divagazioni sperimentali che tanto ricalcavano il lato live del gruppo, il duo (che dal vivo si tramuta in quartetto) aveva acceso non pochi entusiasmi, supportati da esibizioni che lasciavano senza fiato per intensità ed esecuzione. Con questo Bend Beyond, però, sfiorano le vette della perfezione, con un lotto di brani irresistibili, una sequenza indimenticabile di riflessi antichi riletti con gli occhi dei confusi anni 0. Si parte con la title track, degna del primo Neil Young, quando ancora cavalcava a fianco dei Crazy Horse, intrisa di rumorosi assoli intrecciati in spirali sonore che accarezzano l’orizzonte. Si prosegue con Cali in a Cup, vicina agli Shins più ispirati, quelli di Chutes too Narrow, per intenderci. It ain’t easy è una ballata a lume di candela che avrebbe fatto la gioia dei primi Belle & Sebastian; Cascade è fedele al suo titolo, una cascata di suoni discenti che ti risucchiano in un vortice; Back to the Stone è pop rurale, un diamante grezzo il cui splendore parrebbe illuminare anche gli spazi più angusti del Globo; Find them Empty è più sostenuta e riecheggia le chitarre sfavillanti dei Byrds, mentre Impossible Sky ha il sapore trasognato della California dei primi sixties. Bend Beyond non inventa nulla, ma dimostra quanto la lezione del passato possa essere cucinata in milioni di gustose e irresistibili salse. E se i Woods sono lo chef di una cucina che ha il sapore del passato ma non disdegna di volgere lo sguardo al futuro, l’acquolina in bocca non tarderà a farsi viva. Disco dell’anno per me, senz’ombra di dubbio.