Il Grande Nord: “Framtidens melodi” e “Rare Export: A Christmas Tale”

A cura di Maciste contro Tutti

É stato concesso il privilegio anche a noi di Maciste Contro Tutti (parlo al plurale dato che per l’occasione divido gli oneri redazionali con David Gnomo) di essere presenti al cinefestival e cercheremo di non gettare questo privilegio alle proverbiali ortiche.

Prima di cominciare a introdurci con irruenza nel vivo del festival, come un herpes sulle labbra di un giovane pomiciatore, ci sembra di rigore mettere in piena luce il ruolo occupato da Maciste nella delegazione Gwendaliana sulle sponde teutoniche del lago Maggiore.

Non sono un esperto di cinema, non sono particolarmente ferrato nell’identificazione degli attori o dei registi e nella conseguente creazione di legami comparativi. Penso di potermi descrivere come uno spettatore più o meno medio (David Gnomo ci tiene a precisare che lui ne sa di brutto, ma tanto in sala stampa non ci sono sgabelli per bambini e lui non arriva alla tastiera del portatile quindi è tagliato fuori dai giochi che contano) ed è appunto con questo statuto che cercherò di esternare la mia esperienza al festival: quella di uno spettatore più o meno medio, con una lieve propensione per la futilità e dalla prosa decisamente sconnessa.

In sala stampa c’è puzza di piedi e spero non siano i miei. In sala stampa c’è pure il caffè. Odore di caffè, puzza di piedi e la tipa cagacazzo davanti a me che la mette giù dura perché la luminosità del locale è stata leggerissimamente alterata dalle chiappe di qualcuno che hanno sfiorato il dosatore di luce (non ho la più pallida idea di quale sia il nome tecnico) fanno quindi da sottofondo a questa prima recensione. E scusatemi tra l’altro per la lunghezza dell’introduzione, di cui ho perso totalmente il controllo.

Framtidens melodi, Svezia

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Dire che potrebbe bastare la foto qui sopra per farsi un’idea più o meno precisa del film. Si perché poi non é che negli 84′ di film proposti dal duo svedese Jonas Bergergård e Jonas Holmström succeda moltissimo. Inoltre il ritmo non é certo l’atout principale del film e le scene integrali di un anziano in casa sua che si veste con difficoltà ed un suonatore di chitarra completamente borderline potrebbero indurvi a pensare che il film sia un pacco epocale. E invece più ci penso più mi é piaciuto di brutto, non solo per l’originalità, ma anche per la la riflessione e il coinvolgimento che la “veracità” di questo film impone.
Il post subisce uno scossone sintattico ma é avvenuto l’imprevisto: sono uscito un attimo per cercare qualcosa da mangiare tra un paragrafo e l’altro e ho avvistato Janos, il capellone della foto, che veniva nella mia direzione. Prendendo il mio coraggio a due mani mi sono rivolto a lui complimentandolo per il film ed é andata a finire che ci siamo trovato nella hall principale del festival a dibattere sulla società d’oggigiorno con lui che intervallava il dibattito con canzoni in Svedese, sotto gli occhi tra il sorpreso e il diffidente dei presenti. É stata una figata, un momento decisamente singolare e molto intenso, e soprattutto mi sentivo esattamente come in una scena del film. La “genuinità” quindi del cast, intuita durante la proiezione, é stata confermata dal riscontro nella realtà di Piazza Grande., e dai racconti di Janos, a.k.a. Sven-Olof Molin, che mi ha confermato che “il personaggio recita lui e lui recita il personaggio”, come del resto fa anche l’altro attore principale e suo amico anche ella realtà.
C’é una scena (direi emblematica del “pensiero” del film) in cui lui in un supermercato raccoglie le caramelle sfuse che sono cadute per terra dai vari contenitori e se le mette in tasca. Quando il manager si accorge di quello che sta facendo ovviamente lo caccia e ne nasce una discussione paradossale e stupenda, dove il manager gli dice che non é illegale farlo, che loro comunque le caramelle che cadono per terra le buttano via, ma che lui non dovrebbe raccoglierle perché non fa da bella immagine del supermercato. Durante la proiezioni mi ero chiesto quanto fosse preparato e quanto improvvisato, e Sven-Olof mi ha in parte deluso dicendomi che la scena era preparata, in parte accontentato, dato che a) il manager era si al corrente ma oltre essere il cugino del regista lavora davvero al supermercato, b) la gente nel supermercato non era stata avvertita e c) lui questo lo fa davvero, nella sua vita di ogni giorno. Grande, cazzo.
Volevo terminare il post prima di sera e quindi mi sono congedato da lui, ma se non altro adesso so che se un giorno dovessi andare a Karlstad, ho un numero di telefono, un indirizzo dove andare, e una persona con la quale vale davvero la pena parlare, anche se completamente borderline.

Mi stavo maledicedo per non aver portato con me nessun mezzo di cattura digitale di immagini o video, quando all’orizzonte é comparsa la silhouette del Presa con la sua fedele Nikon che ci hanno quindi permesso di offrirvi queste due testimonianze del nostro incontro. Una canzone in Svedese, spesso cantata anche nel film (cliccate qui per le parole poliglotte) e un suo racconto su come ha ottenuto uno dei numerosi gadget della sua chitarra, da una tossicodipendente morta pochi giorni dopo averglielo lanciato dal balcone (il gadget).

 


Rare Export: A Christmas Tale, Finlandia

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Non è che siamo larghi di manica: solamente anche il secondo film in Piazza Grande era degno di nota. Introducendolo, Olivier Père l’aveva caraterizzato come un nuovo genere di film, un horror per bambini, o qualcosa del genere. Non so se questo corrisponda al vero, anche se la mia impressione é quella di non aver visto nulla di particolarmente innovativo. Originale però si, e di maledetto. Il concetto di un babbo natale non proprio convenzionale (anche se pare che quello originale sia proprio così…) è intrigante e inaspettato, e la trama é supportata da una fotografia a mio dire ben riuscita e da scenografie mozzafiato che grazie anche ad una colonna sonora classica ma perfettamente adatta, danno al film il giusto tono di drammaticità e mistero avvolgente. Inoltre il film é intervallato da momenti di puro delirio, che non stemperano assolutamente il clima di tensione cresente ma hanno però aiutato le mie coronarie, già pesantemente provate, a godere di qualche momento di pausa (a onor del vero va detto che sono una chiavica, nel sopportare la suspence).

Il piccolo Pietari mi ha fatto quindi trascorrere un’ora abbondante tra brividi, ansia e risate, aiutandomi anche a sopportare la colpevole assenza di una felpa nella fresca sera locarnese, e si merita quindi i 4 coniglietti (anche se David gliene voleva dare solo 3, forse perché a lui che é un nano gli da fastidio che gli elfi aiutanti di Santa Claus nel film siano una mandria di simil-zombie assetati di bambini).