Migros – La cultura dei giovani [testo completo]

La cultura dei giovani
Foto scippata da:
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Migros e la cultura dei giovani
TESTO COMPLETO

Cara popolazione, la dottoressa Yvonne Pesenti Salazar in qualità di Percento culturale Migros Ticino ci ha commissionato due parole sui giovani e sulla cultura del nostro territorio per la creazione di un graziosissimo libretto (vedi foto). La consegna era a 5000 battute. Noi abbiamo scritto molto di più e consegnato una versione ridotta.

Perciò vi pubblichiamo qui il testo originale. Buona lettura!


Il signor Gillenormand: “Ma i bambini sono innocenti dei delitti dei padri!”
V. Hugo – Les Misérables

Kick out the Jams, Motherfuckers!” Questo il grido degli MC5 durante la proiezione del documentario su Detroit, a cura del regista Patrik Soergel, durante il Gwenstival 2013, il 18 maggio. Esattamente due mesi dopo, il municipio di Detroit dichiara bancarotta. Proprio loro, culla del Soul e del Funk di casa Motown Records, non ce l’hanno fatta. L’etichetta era stata severamente criticata per non aver supportato le rivolte dei giovani neri nel ’67. C’erano problemi molto seri che affliggevano la città, eppure la musica che poteva essere la loro voce era rimasta schiava del mercato bianco e non ha saputo raccontare la lotta sociale. Ora noi osserviamo la fine di quella grandiosità.

I giovani, un tempo bacino virtualmente illimitato da cui attingere cambiamento e sviluppo, vengono oggi deturpati della loro innata indole ribelle e rivoluzionaria, come si fa quando si sterilizza un cane non ancora adulto, non ancora in grado di capire o sentire la mancanza di ciò che era prima. Non è per cattiveria, serve ad evitare problemi. Dimenticando che sono proprio loro, i problemi, a generare movimento e crescita. I media – non più divulgatori di informazione e cultura, ma semplici mezzi di intrattenimento, possibilmente poco impegnato ed impegnativo – spiegano ai ragazzi come dovrebbero vestirsi, comportarsi, cosa imparare e cosa ignorare, ed il risultato è che si ritrovano costretti a percorrere una strada su due binari mentre ai loro fianchi si staglia, coloratissima e nuda, l’immensità dell’universo e delle sue infinite possibilità teoriche. Le idee fluttuano nell’aria senza che nessuno – quasi nessuno – abbia sviluppato delle antenne adatte per captarle, afferrarle e concretizzarle. D’altra parte, si dice che chi nasce in un recinto non può sapere che da qualche altra parte esiste la libertà. Ed è anche vero che i giovani sono i consumatori ideali: amano e si affezionano a qualcosa senza mezzi termini ed in modo completamente incoerente, ma soprattutto non spendono i loro soldi, usano quelli dei vecchi. Nessun biasimo verso le corporations che, povere, fanno il loro mestiere, come volpi che si tuffano nel pollaio leccandosi i baffi.

Dovrebbe invece essere proprio questo il nostro compito, il compito di tutti: accompagnarli alla finestra sul retro, buio ed ammorbato dalle ragnatele, aprirla e, dopo aver abituato gli occhi alla luce e tossito per colpa della polvere, dire: “Vedi, giovane? Guarda quante altre strade ci sono da questa parte. Partono tutte da qui, da te. Scegline una e percorrila. Fai in modo che sia tua. Io starò al tuo fianco.”

Pochi di loro succederanno, ma l’unica cosa veramente importante è che ce ne sia la possibilità. Che possano provarci. Ma questo, in modo altrettanto semplice, non accade. Dal lavoro alla scuola, dalle arti alle scienze, non accade. Il modello del “si fa così, quindi non fare domande stupide” vince sempre, e a conti fatti è anche comodo perché ti solleva dal dover pensare con la tua testa.
Sicuramente esiste da qualche parte una soluzione, ma noi, non ce l’abbiamo. Tuttavia, se agiamo da collettività, esiste una speranza che il fatto di individuare ed evidenziare il problema possa essere l’inizio di qualcosa di epocale.

Klee diceva che l’arte non riproduce quello che vediamo, ma piuttosto ci fa vedere. Qualunque cosa sia il giovane, negli anni a venire sarà necessario potergli dare gli strumenti per cui egli possa creare non per riprodurre, ma per raccontare. Anche il futuro.

La musica è un mezzo fortissimo, forse il migliore, per trasformare l’umore di un’intera generazione in un “sound”, per incanalare la forza espressiva di milioni di anime e fare dunque in modo che possa diventare “qualcosa”. Se fino a pochi anni fa i traghettatori erano dei giovani di fatto identici a quelli che compravano i loro dischi e riempivano gli stadi durante i concerti, se esisteva una sorta di riconoscimento fra musicista ed ascoltatore, un fronte comune in cui i compositori scavavano a fondo nella propria epoca e risuonavano con l’animo di milioni di persone, beh oggi questo non esiste più. O, meglio, c’è ma è nascosto, devi cercartelo da solo. E anche trovandolo resterai comunque isolato, perché l’animo collettivo è al momento occupato nel cercare di mordersi la coda.

Ma se è vero che l’evoluzione dell’umanità è stata possibile grazie al tramandamento della conoscenza, allora si può facilmente affermare che non è stato fatto tesoro del passato, oppure abbiamo smesso di evolvere, oppure ognuno la veda come preferisce, ma il fatto è che qualcosa è andato storto.

Poiché è proprio da chi ha più energie e freschezza, da chi non ha ancora fatto in tempo a disilludersi di tutto, da chi non ha abbastanza anni sulla schiena ingobbita, carica di dolore e fallimenti, che bisogna ripartire. Già, proprio loro: i ragazzi. Testardi, teppisti, disobbedienti, incoerenti, distratti, stupidi, menefreghisti, banali, egocentrici, arrapati, drogati, irrecuperabili, semplici,
ragazzi.

Ma lo siamo stati tutti, quindi lo sappiamo benissimo: si tratta di un gregge senza cane pastore. Ed esiste un mandriano, anzi, un pecoraio migliore della musica e della sua capacità straordinaria di parlare direttamente nel cervello? Come ai bei vecchi tempi dei disordini per le strade prima di ogni-fottuto-concerto dei Led Zeppelin, quando le città erano ancora di proprietà dei cittadini.

Keith Richards aveva probabilmente capito tutto quando spiegava:

You can build a wall to stop people, but eventually, the music, it’ll cross that wall. There’s no defense against it. I mean, look at Joshua and fuckin’ Jericho – made mincemeat of that joint. A few trumpets, you know.

“[Music] is why the iron curtain went down. It was jeans and rock ‘n’ roll that took that wall down in the long run. It wasn’t all those atomic weapons and that facing down and big bullshit. What finally crumbled it was the fuckin’ music, man. You cannot stop it. It’s the most subversive thing.”

Ma il problema della musica, come per ogni altra arma, sta nel modo in cui la si usa.

Ed è questo in cui Radio Gwendalyn, nel suo piccolo, crede fermamente. Prima ancora di essere una radio d’informazione o d’intrattenimento, crea e supporta progetti che fanno comunicare realtà minori, in via di maturazione, a volte nascoste. Una di queste è Radio LiMe, una radio di studenti liceali che da due anni a questa parte si sono avvicinati al mondo del microfono. Un progetto studentesco di questo genere vanta la particolarità unica (e direi antitetica alla tendenza degli adulti) di doversi rinnovare ogni anno. Ogni anno la radio ha nuove voci, idee fresche, è sensibile a dover nuovamente imparare il mestiere e rimettersi in gioco.

Chi intende sostenere la cultura del futuro deve, a nostro avviso, come filosofi, saper dialogare con la società giovanile aiutandola a liberarsi da ogni presupposto, dalle credenze comuni, suggerendogli di ardire il rischio, rompere lo schema, deragliare la retta via.
Possiamo credere ed investire nei giovani soltanto se accettiamo il fatto che essi sono il prodotto della società che noi abbiamo sviluppato, generazione dopo generazione. Siamo dunque responsabili verso la loro tendenza di poterla cambiare, di poter compiere ciò che noi abbiamo trascurato.

Gwen.