Performa Festival – giorno 3

Dalla nostra inviata Eleni.
http://www.performa-festival.ch/

foto: Gianluca Blefari

Non si va ad un festival di sabato con la voce ancora in gola perché la mattina hai fatto direttamente colazione senza neanche aver visto il letto, il proposito di scrivere una recensione seria (anche decente potrebbe bastare), non fare troppo tardi e non bere.
E con questa premessa non voglio fare un elogio ad un Saturday afternoon hangover recovery. Né alludere a situazioni Bukowskiane, anche perché non soffro di alcolismo ma di ansia.
Non si va ad un festival per timbrare il cartellino. Anche perché questa è stata la giornata tra le più sorprendenti di Performa.
Oltre al fatto che La Fabbrica di Losone merita veramente di essere visitata, è stato un pomeriggio elettrico.
Katja Vaghi ha dato il via, con “Dance History jukebox”, consegnando al pubblico un menù a base di colossi della storia della danza, lasciando a noi la facoltà di scegliere se preferire un piatto alla Bausch o alla Graham. Un lavoro fresco, eseguito con prontezza e molta eleganza. Ready to eat.
Poi, Ioannis Mandafounis. Due sedie, due danzatori, due volontari per un “One One One”. Una danza privata a quattr’occhi che non concede distrazioni e che si consuma davanti a tutti.
La maratona Tanzfactor si apre, con “Vacuum”. Ecco, ora devo dire una cosa molto importante.
Philippe Saire non è una delle maggiori figure della danza contemporanea Svizzera. Né un coreografo. E’ uno stregone. Un ipnotizzatore. Un perturbatore di inconsci. La sua scatola magica con luci al neon da cui apparivano e sparivano corpi ci stava letteralmente risucchiando. Non ho voluto controllare, ma ho avuto la certezza che ad un certo punto, sospesi, stavamo per trasportati, i miei compagni di spettacolo, io e tutto il Performa festival, nel suo mondo in bianco e nero, dove l’arte visiva e la danza diventano una cosa sola.
E’ stata una doccia al trash a spezzare l’incantesimo e a riportarci a terra. Con “U betta cry” gli esilaranti Nils Amadeus Lange & Teresa Vitucci ci hanno letteralmente fatto piangere dalle risate. Uno spettacolo sul voguing, sul professionalismo e dilettantismo. Grottesco, dal ritmo serrato e imprevedibile, in cui anche il dj e musicista improvvisa passi di danza lasciandoci a bocca aperta.
Marion Zurbach con “My box” ci ha trascinati in un mondo fatto di statue, una coreografia dai toni sci-fi, con improvvisi deliri di potenza, impeccabilmente eseguita da Maria Demadt
Infine il collettivo House of Pain con “Trieb Werk”,un lavoro viscerale, che ci ha preso alla pancia senza lasciarci, un bacio lungo venti minuti senza prendere fiato. Hanno acceso la platea e incendiato i sedili. Preparandoci per una serata dj da non scordare.
Grazie!

IMG_2646 IMG_2686 IMG_2713 IMG_2778 IMG_2791_1