Red Lorry Yellow Lorry Live @ Das Bunker, Vicenza, 29 settembre 2012

Sabato sera. Pioviggina. L’aria è umida e mite. Mi trovo nella zona industriale alle porte di Vicenza, fra capannoni “spenti” dopo la lunga settimana di lavoro. Sono qui per vedere l’esibizione della storica dark-rock band inglese Red Lorry Yellow Lorry, o semplicemente The Lorries, come vengono chiamati dai fans (e dalla band stessa). Il nome esteso infatti è semplicemente uno scioglilingua inglese che, in fondo, non c’entra molto con né con la musica, né con i temi proposti dal ‘frontman’ Chris Reed. Quindi, chiamarli con il nome corto o lungo non fa molta differenza; semmai è una questione di praticità. Il nome esteso della band evoca però ricordi di adolescenza quando frequentavo – seppur marginalmente – gli ambienti dark di allora fra il Ticino e Milano.

Il locale è il Das Bunker – un nome senz’altro appropriato – ed è specializzato nel genere dark e affini. I Lorries si erano già esibiti qui in passato, e questa volta è grazie all’invito della rivista italiana Ascension Magazine che il quartetto di Leeds è nuovamente in Italia. Stiamo parlando di una band protagonista della scena underground britannica della metà degli anni ’80: formatisi nel 1981, dopo una serie di singoli che riscuotono un discreto successo, nel 1985 i Lorries pubblicano il primo album Talk About The Weather. E’ un ‘instant classic’ che arriva in un momento di massimo splendore del genere dark-gothic. Gruppi come Sisters of Mercy (per coincidenza, anche loro sono di Leeds…), Danse Society, Virgin Prunes, Alien Sex Fiend, The Cure, Death in June, Fields of the Nephilim, Christian Death, e molti altri sono al culmine della loro carriera. I locali londinesi e di mezza Europa si popolano di giovani vestiti di nero e truccati come zombies. La moda dark, o goth per gli anglofoni, era esplosa e qualsiasi band che non suonasse musica di carattere felice era subito etichettata come goth. E’ il caso anche dei Lorries, che però non si vestivano (e non si vestono tuttora) come vampiri e non si cotonavano i capelli come Robert Smith dei Cure.

Arrivato al Bunker durante le prove del suono, entro dalla porta di servizio e al termine del soundcheck dei Lorries riesco a scambiare due parole con Chris Reed. In realtà, l’artista sta cercando di comunicare con un addetto del locale che non parla inglese. Intervengo prontamente quale interprete. Chris cercava un po’ di fumo per la serata. Dall’Inghilterra non poteva permettersi di portarselo con sé per ovvi motivi doganali. Chiedo a Chris come sta e se fa ancora spesso concerti. Reed mi risponde di sì, ma è lui a scegliere dove e quando suonare. Se le condizioni sono favorevoli (leggasi: se il santo vale la candela) allora si va. Chris mi confida però che in questo periodo ha dei problemi in famiglia: la madre è affetta da demenza senile. A quel punto, la mia “intervista” si interrompe. Mi trovo infatti un po’ in imbarazzo perché, in fondo, non conosco bene la sua musica e la sua storia, e quindi non so che cosa chiedergli. Bisognerebbe anche conoscere Leeds, città che non ho ancora avuto il piacere di visitare. Chris Reed è un discreto signore sulla cinquantina, di poche parole, privo di espressioni facciali, o quasi. E’ un personaggio decisamente enigmatico – un vero dark, direi. Ma, in fondo, sono io a non essere pronto per parlare con lui. Mea culpa, quindi. Peccato. Questa è la prima e probabilmente l’ultima occasione che avrò per parlargli.

Dopo cena torno al Bunker. Sta per esibirsi il gruppo di spalla, Der Himmel über Berlin, dark-wave-rock band triestino che già conoscevo perché visti di recente al Bar Tonino di P.te Tresa all’interno della rassegna Swiss Dark Nights. Ottima prestazione del trio dove è il batterista che canta. Impresa non facile, specie sepensi che i ritmi sono abbastanza sostenuti. Mi domando come faccia a tenere bene il tempo e non cannare i passaggi!

Finalmente, poco dopo la mezzanotte, arrivano i Lorries. Per essere una band storica fa un po’ strano vederli salire sul palco per aggiustarsi la strumentazione. Niente ‘roadies’, insomma. L’apparizione sul palco però non delude le mie aspettative: Chris Reed è vestito di jeans e gilet di pelle semi-sbrindellato. Molto inglese, direi, e decisamente poco goth. Il suo è un discorso piuttosto interiore, proprio come i testi dei suoi brani. La musica è decisamente rock: due chitarre elettriche, un basso e una batteria. (Sui primi album usavano una drum machine, un po’ come i Sisters of Mercy, guarda a caso.) Dopo una serie di brani storici, Reed  & Co. propongono alcune composizioni più recenti. Va ricordato infatti che, dopo lo scioglimento nel 1991, nel 2004 riprendono l’attività con date regolari, seppure non proprio frequenti. Chris Reed inoltre si esibisce anche in solo, con il suo Chris Reed Unit, dal suono più acustico. Il sound del Bunker è pessimo: è una discoteca e l’impianto è studiato per tale scopo. Nonostante la sala sia abbastanza piena, si sente un bel pastone di chitarre effettate dal quale emerge comunque la distinta voce di Reed. Mi ricorda a tratti quella di Andrew Eldritch dei Sisters of Mercy, e a tratti quella di Ian Curtis dei Joy Division. I Lorries, agli albori della carriera, avrebbero però citato quali influenze i Wire e i Killing Joke. Uso il condizionale perché, in fondo, non è importante. Sono cose da giornalisti musicali che sono ossessionati dal dover assolutamente etichettare tutto e tutti. Infatti, se sui primi album si sente qualche similitudine con i Sisters, in questo concerto sento tutt’altra musica. Rock, appunto. Anche bello ‘noise’. La chitarra di Reed è conosciuta per essere graffiante, un po’ come quella di Geordie dei Killing Joke. Ma i Lorries sono i Lorries. Questi signori spaccano, nonostante siano passati 3 decenni dal loro esordio. Per non parlare dell’energia che sembra infinita: 24 brani suonati di filato, senza pausa, per un ora e un quarto esatti di musica. Niente bis. Voci dal backstage mi dicono che Reed avrebbe detto che così bastava. Sono d’accordo. Resto comunque stupito dalla carica e dalla resistenza di Chris e compagni. Nel Bunker fa caldo, e sul palco ancora di più per via dei riflettori. I Lorries sono dei professionisti, oltre che essere degli artisti.

Durante tutto il concerto dei Lorries, che ho anche ripreso con la videocamera, ragiono sul mondo dark-goth. Osservo incuriosito come il locale vicentino sia popolato da persone relativamente giovani, penso fra i 25 e i 45 anni, che amano travestirsi di nero, indossare zeppe enormi, cotonarsi i capelli, e truccarsi di brutto. Dopo un po’ capisco che il Bunker non è altro che una discoteca tematica. Non male, direi. All’epoca non esistevano locali a tema, o perlomeno non così ben organizzate. Qui al Bunker c’è la sicurezza, la pulizia, l’ordine. La scena dark storica era invece nata sulla scia del punk, quindi i locali erano un po’ meno ordinati. Qui gli avventori bevono ‘drink’, scattano foto fra di loro che poi posteranno su Facebook. Poca birra e niente pogo, insomma. Sono leggermente deluso. Avanzo l’ipotesi che la scena dark attuale è costellata di fighetti e fighette travestite di nero, anziché da veri dark – quelli che lo sono dentro e non fuori. Qui regna l’estetica, non l’essenza. Quanto vorrei vedere queste persone alla luce del sole, magari il lunedì mattina quando riprendono il lavoro. Ricordo come già all’epoca c’erano i modaioli che si vestivano in un certo modo per differenziarsi ma che non avevano il vero sentimento ‘scuro’ dentro. Stasera, come allora, continuo a rifiutare l’esteriorità della scena dark. In realtà, specie nei gruppi storici, ci sono dei discorsi più profondi, legati ai temi dell’amore, al disagio interiore e spirituale, o alle vicende del mondo e dei suoi problemi.

In conclusione dico che la serata è stata bella e che è valsa la pena fare la trasferta. D’altronde, i Lorries non li avevo mai visti e non potevo certo perdermeli. Il periodo magico del dark anni ’80 è tramontato da tempo, ma fa comunque piacere vedere che qualcuno ci crede ancora.

di Jazzweirdo_1 – The dude abides