Welcome to the moon, this is Iceland

 

Iceland Airwaves Festival – 2012
01. Welcome to the moon, this is Iceland

Welcome to the moon, disse il sig. Arinbjoern quando abbiamo trovato rifugio d’emergenza nella sua casetta ai piedi del mega ghiacciaio Vatnajökull.

Siamo ormai in viaggio da quasi tre giorni, seguendo una mappa gratuita raccolta di corsa all’aereoporto su cui sono segnate solo le due strade più importanti, di cui quella secondaria quasi tutta sterrata. Il mezzo più economico che avevano quelli della Budget era una Polo blu, che ora è meno blu e più marrone con due pezzi di plastica che si stanno staccando. E io che avevo detto a DumDug di non dire ad alta voce che “siamo in missione per conto del Signore” visto che l’assicurazione Super non ce lo potevamo permettere… e chissà il Super cosa ci dava, protezione da proiettili di lava incandescenti o da furiosi islandesi ubriachi?

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La scelta è stata abbastanza facile: abbiamo 4 giorni prima del festival e quindi andiamo a scoprire l’Islanda. Siamo dunque partiti per l’est lungo la costa bassa dell’isola sulla strada numero 1. Chilometro dopo chilometro siamo stati investiti da bellezze sceniche meravigliose in continuo mutamento, da scogliere brizzolate d’erba a cascate maestose, steppe infinite e coperte da strane collinette a punta, deserti neri infiniti. Nessuno si aggirava sulle strade, nessuno neppure nei minuscoli villaggi frammentati a casaccio lungo la costa. Ho trovato molto difficile capire o intuire l’anima di queste cittadine apparentemente vive solo grazie al benzinaio e ai fast-food presenti. Chi sta dietro alla cassa viene colto di sorpresa quando gli si chiede una parola in islandese, abituati a parlare solo in inglese davanti agli stranieri.

Arrivati ai piedi del super vulcano Eyjafjallajoekull che ha messo in ginocchio non solo noi del continente ma anche tutti i giornalisti che cercavano disperatamente di pronunciare questa parola di 17 lettere (16 se con la ö), abbiamo deciso di dare un’occhiata al gigante della natura. Ci hanno spiegato che la potenza e la conseguente propagazione della cenere era dovuta al ghiacciaio steso sopra il vulcano stesso. La pressione quindi è stata devastante. Ma quello che non viene tanto spifferato in giro, e che quindi vi sveliamo noi qui in anteprima: è che il vulcano che sta sotto il ghiacciaio giusto accanto a Eyjafjallajoekull,Mýrdalsjökull, ha nella storia sempre eruttato dopo Eyjafjallajoekull. E la guida a cui ci siamo piratamente agganciati aggiungeva di magari iniziare a farci un pensiero prima di prenotare avventatemente dei voli.

Speriamo vivamente che erutti.

Chiaramente siamo arrivati soltanto a raggiungere tre pecore che pascolavano felicemente nell’erba verdissima sopra la cascata più famosa dell’isola per poi ripartire verso il super ghiacciaio Vatnajökull dove abbiamo potuto vedere una distesa di piccoli iceberg tra cui nuotavano delle foche felici e beate. La distesa di ghiaccio ci ha ricordato il nostro di ghiacciaio e di quanto si sia ormai ritirato e pian piano si scioglie sempre di più. E ci si domanda se è colpa nostra con il nostro consumismo iperbolico e nauseante o se le cose vanno così e basta. Che sia l’uno o l’altro il motivo, abbiamo deciso di tornare con un po’ di malinconia e tristezza generale.

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Fermatoci a Vik, che significa città (Reykjavik significa città del fumo…), abbiamo pernottato nell’ostello del luogo insieme a una coppia finlandese che facevano un po’ come noi: un giro a casaccio e poi tutti al festival più importante della nazione. Nora e Nikolas ci hanno consigliati i Fever Ray, The Knife, Mammút e i Apparat Organ Quartet. Dopo una dormita power, una colazione a base di Strawberry Milk Muu e un photoshooting di galline, ci siamo avviati verso Hella (pronunciato Hetla) per una zuppa calda e poi verso nord alla ricerca delle piscine calde perdute.

Usciti dalla strada numero 1 proseguendo sulla strada numero 2 per continuare poi sulla strada numero 356 (???) siamo stati accolti da un cartellone gigantesco che vietava categoricamente alle macchine a noleggio di addentrarsi oltre, soprattutto senza la Super assicurazione. Ovviamente l’avvertimento è stato ignorato alla grande e per le successive due ore è stato un viaggio in balia delle sospensioni della Polo: deserto di ghiaia nera, montagne ripidissime, aggiramenti di mini-vulcani, due incontri con Monster Truck e attraversamento rischiosissimo di due fiumi. Ma ragazzi, che posti! Il tesoro alla fine dell’arcobaleno sono stati 40 minuti di bagno termale in completa natura senza un’anima viva. Altro che Into the Wild.

Tutta la strada fatta per arrivarci, l’abbiamo poi ripercorsa quasi in piena notte con la colonna sonora delCD omaggio di The Wire del mese di ottobre e l’angoscia di trovare dentature nuove da presentare alla Avis-Budget di Reykjavik alla consegna mercoledì.

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Tutto ok insomma, e ora ci troviamo in una cittadina storica sulla costa ovest, subito dopo l’incontro della placca euroasiatica con quella nordamericana che accoglie il primo parlamento europeo Þingvellir(pronuncia Thingvedlir). Qui la birra Viking, Carlsberg o Egil Gull da 2.25% di alcol è considerata analcolica dai commessi dei supermercati.

Domani ci ‘spetta una visita alla Casa degli Insediamenti, dove ci racconteranno delle saghe islandesi (le Íslendingasögur) e di come l’isola è stata cristianizzata dal 1000 AC in su, ma mai perdendo il senso degli antichi racconti pagani. Eppure proprio sabato scorso la popolazione ha incendiato panchine e lanciato uova e insulti al parlamento per non dare abbastanza aiuto a un paese che ancora oggi è profondamente in crisi economica e sulla soglia della bancarotta. Il vulcano, dicono, ha aiutato un po’ ad aumentare il turismo.

Ma qui qualcosa non quadra, questo è sicuro. Chissà se scopriremo cosa.