ASHTORETH – TCH

`Angels guide the Way to our Harbor` LP

Deer Trail Records
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Tim Holehouse ha sempre avuto un legame piuttosto stretto con la nostra piccola zona, per vari motivi è sempre capitato a suonare nei paraggi. Grazie a Risonanza Records nelle sue vesti folk in prima persona ma, una volta, in un indimenticabile festival (almeno per me che ero fra gli organizzatori) si scoprì come TCH, progetto “oscuro” che porta avanti da sette anni e che terminerà la sua corsa proprio ne 2014.
In questa occasione si accompagna a Peter Verwimp aka ASHTORETH, in uno squisito split LP edito da Deer Trail Records. Spesso questi incontri nascono da circostanze casuali e dalla divina provvidenza, proprio come in questo caso… un tour programmato insieme bloccato dalla neve, un ritorno forzato in Belgio ed un po’ di tempo dove buttarsi a capofitto in studio a registrare.
Angels guide the Way to our Harbour è il parto uscito dall’unione dei due.
Tre pezzi soltanto, uno in comune e due in solitaria.
Il primo, in comune, è un viaggio di quasi venti minuti di ondivaga rarefazione: suoni discreti ed in qualche modo antichi, un blues “altro” placido ed avvolgente, tra degli Earth senza nervosismo e Bruce Palmer. Leggero, che di angeli si parla. Il primo passo verso un luogo avvolgente e sicuro. L’arrivo lo sentiamo in lontananza con le voci che si incastrano seguendo la via acquatica segnata dagli esseri in questione.
Per non farsi mancare nulla accompagnano il tutto con un pezzo a testa in formazione solista, creando un quadro completo degli ingredienti in gioco in questo disco…Sacred di ASHTORETH ed Ascension per TCH. Ascoltando i suoni e le immagini create dai titoli ci si sente realmente trasportati in uno stato trascendentale. Lungi da me cavalcare stereotipi della nuova età, ma qui i flussi ed i pensieri si sprecano. E non sono sempre belli e placidi. Con Sacred il suono si ingrossa e si degrada, in una marcia granulosa e tetra completamente strumentale, tra squarci nel cielo plumbeo e brutte soprese dietro ogni angolo. Sacro o sacrificale piuttosto, che la tensione ti si incolla addosso come nera placenta e fa temere il peggio. Poi si apre e si illumina, quasi che alla fine del calvario si intraveda la luce.
Poi Ascension, dove la voce roca di Tim ci prende per mano come un novello Caronte, accompagnandoci in un viaggio che ci si augura non abbia mai fine. Ci basta rimaner seduti qui, in un oceano di suono semplice eppure avvolgente, con la chitarra che pennella lo sfondo e la voce che ci alita in faccia tutto quello che desideriamo ascoltare. Un viaggio verso l’oltretomba, dove l’ascensione non è sinonimo di luce ma di calde ed umida pece.
Splendido.