King’s Road – Valdís Óskarsdóttir

Questa immagine è un frammento dalla proiezione del film King’s Road di Valdís Óskarsdóttir. Ma andiamo a parlare dei gusti musicali della regista e i nostri pensieri sul film…

Anche qui, dopo le varie domande sul senso del film, se più finzione o più reale, su come alla regista viene la botta creativa e su come l’Islanda se la cava con la crisi e il vulcano (notizie smentite come fasulle dall’attore e che in verità tutto quello che sentiamo sull’Islanda è solo promozione pubblicitaria invitando tutti a venire a vedere il paese), ho indagato sui gusti musicali di Valdís.

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Certo, avrei anche potuto chiederle cosa trovo nella sua bilblioteca di CD se l’avessi incontrata dopo al bar, ma in questo caso c’era un perchè. Nella colonna sonora suona Björk con i Sugarcubes, quindi non propio la Björk degli ultimi album. Roba da vero punk islandese…(in Islanda i connotati dei generi musicali sono leggermente alterati, magari meglio dire post-punk…).

Come la maggiorparte di gruppi portati alla luce dai confini nordici, i Sugarcubes vengono trasmessi per la prima volta in radio quando John Peel fa passare Birthday nel 1987. Suonano nel gruppo una serie di artisti che provengono da altri gruppi di spicco della scena islandese come i KUKL o i Peyr.

Quindi, come ci è arrivata la signora Óskarsdóttir? Girava anche lei tra gli ambienti musicali di Reykjavik? A quanto pare per nulla, ma aveva bisogno di accompagnare i personaggi che abitano in queste case speciali (catapecchie) e sfogliando i vecchi album punk della scena dell’epoca, i Sugarcubes le andavano bene. Insomma, una bella risposta concisa.
La regista era di poche parole (o magari non c’era molto da rispondere alle provocazioni o curiosità dei giornalisti?) e sulla domanda riguardante il partito Migliore al potere attualmente a Reykjavik ha passato la palla ai giovani attori: secondo loro, la figura del nuovo sindaco (ex musicista e commediante) ha avuto successo perchè la gente è stufa della politica noiosa, e a una proposta di “divertiamoci!” tutti hanno risposto “massì!.

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Sembra che il direttore artistico Père abbia davvero un buon occhio e si capisce quando dice “mi sono innamorato di questo film” prima che partisse la proiezione. Gli attori commentano per l’utlima volta sugli ormai stereotipati temi islandesi: vulcano e crash finanziario, e lo sanno che la gente gli chiederà di quello. E dico, ma Signora che Presenta, perchè mai dovrebbe essere difficile girare un film in Islanda? Fa freddo, ok, e poi? Poveri noi europei che conosciamo sempre e solo il nostro piccolo continente.

Se posso ora rispondere alla domanda di uno dei giornalisti, che chiede se il film è più finzione o più reale, direi che se si conosce Beckett e il suo geniale Aspettando Godot, già uno ha una risposta. Ma è banale usare Beckett per tutto, e quindi affermo anche che, se Aspettando Godot ha uno humour sottile e nascosto, King’s Road ti travolge di uno strepitoso humour scandinavo e molto visibile. Humour scandinavo? Se avete in mente quello british chiamato “black humour” direttamente dai Monty Pythons o Black Adder, ci siete vicini, solo che quello islandese è reale, potrebbe succedere per davvero.

I momenti del film sono dei sotto-capitoli, delle storie a sè in questo parco di camper (uno dei tre in Islanda) che in qualche modo si intrecciano e si influenzano di continuo. Un parco di camper che mostra una piccola comunità di gente che aspetta qualcosa ma senza tanto entusiamso o speranza. E quindi ogni tragedia di ogni storia cade nel comico.

Tutti hanno un ruolo, autoassegnatosi, e lo portano a termine anche se dovessero essere denudati di tutti i vestiti, o il camper dovesse esplodere in mille pezzettini. Il tedesco scappa dai debiti, il suo amico gli offre ospitalità nel posto probabilmente più inospitale d’Islanda, la moglie è incinta e vuole un uomo normale dovendo fumare il fumo passivo per poter fumare senza infrangere la regola del “non fumare quando sei incinta”, il marito vuole diventare un cantautore ma vomita di continuo, la nonna passeggia con la sua foca imbalsamata che contiene tutto, il taxista è il dittatore e poliziotto che infrange ogni limite stradale e diventa pure omicida, i gemelli si sono autoinventati le striscie pedonali , il padre è uno stronzo pseudo banchiere, e si va avanti a non finire.

E tra una scena e l’altra suona la incantevole voce di Björk.

Tutti aspettano quindi, e hanno già superato la banale fase dove ci si domanda se la vita ha un senso. Questi sono piuttosto preoccupati, tra un momento di euforia, di amore, di festa, di morte, di affermare quello che sono già, ma purtroppo in un luogo poco incline agli scopi della vita.

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