Pain Jerk – la fisica della sofferenza

Pain Jerk
Dal concerto della 4° serata
XI Edizione LUFF 

http://painjerk.blogspot.ch/

Visti da noi i giapponesi sembrano essere persone piuttosto riservate, posate e rispettose. Cliché evidentemente. Basta ascoltare Pain Jerk per rendersi conto della distanza che separa il nostro immaginario dalla realtà. Il tema della serata in cui si esibisce il nostro giapponese atipico è temibile, Distruzione e ricostruzione dell’universo si chiama e, dato quello che si è sentito prima (Brutal Truth plays Robert Piotrowicz), c’è poco da stare tranquilli. Intendiamoci, tutta roba interessante, solo che bisogna avere una tempra decisamente resistente per sopportare tanto rumore. Resta la speranza che dopo tale estrema distruzione si concretizzi la seconda parte del titolo.
Niente da fare. Il tipo ci prende completamente impreparati. Ci colpisce a tradimento con una botta tra capo e collo che ci lascia tutti un po’ storditi e un po’ increduli. Qualcuno ha l’aria risentita e abbandona. Ciò che ci sta investendo è di una violenza inaudita, intimidatoria. Io personalmente non ho mai sentito una roba del genere. La gente rimasta è restia ad avvicinarsi al palco, da dove un capellone invasato smanetta come se volesse sovvertire l’ordine dell’universo. Si tratta di un’aggressione in buona regola. Io penso che ci stia violentando. È probabile che il tipo abbia messo a punto un metodo efficace per commettere delle brutalità senza finire in carcere.

luff_©-Raphaël-Vigneron-Laure-Schwartz
I primi dieci minuti, ma potrebbe essere passata un’ora, sono questo. La cosa – come definirla altrimenti ? – continua con lo stesso accanimento, ma, forse perché abbiamo perso la verginità, ci stringiamo attorno al nostro carnefice. Siamo in preda alla sindrome di Stoccolma, anche noi vogliamo essere partecipi del crimine. Ci sono persone che addirittura ballano come degli improbabili hippies. Anch’io mi faccio prendere dall’oscillazione di fondo. È assurdo pensare che nelle viscere di quel muro ultracompatto ci sia una porta che apre su un universo parallelo, con un movimento, una consistenza e una luce inaccessibili all’esperienza comune.
Il metodo consiste nel provocare uno stato di alterazione attraverso l’annichilimento delle barriere fisiche. Pain Jerk ci porta lontano, dove sentire è un esperienza estrema carica di sofferenza. È come se avesse voluto sbarazzarsi dei corpi, terrorizzandoli, per poter infiltrarsi con più agilità tra le maglie della materia. Il terrore sapientemente scatenato aveva come scopo quello di liberarci dal peso della carne per renderci più leggeri e sottili. Sembra che sto parlando di droga, ma ero sobrio e, alla fine del concerto, dopo un tempo indefinito, galleggiavo in un mare di luce, tra suoni di redenzione.
Se la violenza e il dolore hanno senso, Pain Jerk l’ha trovato.

Toi Toi
considerazioni escrementizie sullo stato dell’arte